Una sola è la strada per la felicità, dice il saggio.
Oddio, forse dovevo svoltare prima.

mercoledì 14 ottobre 2015

JEZABEL


Della serie: libri che parlano di tardone.

Le pareva di sentir sogghignare le altre donne, le sue rivali: «Gladys Eysenach? Certo, si difende. Ma non è più giovane, sapete. Ha maritato la figlia. Il suo amante l'ha lasciata... Cosa volete farci? È ancora bella, ma... È ancora giovane, ma...».
E ben presto, forse:
«La trovate bella? Ma è vecchia, sapete... è diventata nonna».

Ci sono libri che non sei tu a scegliere, ma loro a scegliere te. Succede per esempio quando un pomeriggio, gironzolando in libreria, non cerchi niente di preciso, ma un titolo, una quarta di copertina ti colpiscono e decidi di comprarlo.

Con Jezabel di Irène Nèmirovsky (ed. Adelphi) è andata così. E sinceramente non immaginavo nemmeno in che storia mi sarei imbattuta. Crudele, agghiacciante, eppure umana. La storia di una donna con la paura – o meglio il terrore, l'ossessione – dell'invecchiamento. Una donna incapace di rinunciare a quello che sin da piccola le era sembrata la sua unica possibilità di avere potere: sedurre gli uomini. Può sembrare un tema d'attualità; in realtà la storia è ambientata nel secolo scorso, molto ma molto prima dell'avvento del lifting e del botulino.
Gladys Eysenach, così si chiama la protagonista, è accusata di omicidio, che poi si scoprirà aver commesso per ragioni inaccettabili. E non nei confronti di un presunto giovane amante, ma di un nipote abbandonato per anni e tenuto nascosto allo scopo non non divulgare la sua vera età.


Non so che effetto faccia (parlo soprattutto di donne) leggere questo libro a vent'anni piuttosto che a quaranta. A cinquanta, per chi, come me, la paura d'invecchiare comunque ce l'ha, fa parecchio effetto: è come guardare allo specchio una propria debolezza estremizzata fino all'aberrazione. E non nego che la cosa faccia riflettere, soprattutto nella ricerca delle motivazioni che portano a sviluppare certe ossessioni.


Gladys è un'assassina stupida e crudele, ma è anche patetica e non riesci a condannarla del tutto, trovando in lei una vera, profonda sofferenza. E anche qualcosa di te. Almeno di me. Innanzitutto per il suo rapporto drammaticamente conflittuale con la madre. E sarà lei stessa, a sua volta, una madre terribile per sua figlia. Non a caso il nome a cui si ispira il titolo, Jezabel, rimanda a un personaggio di madre crudele di una tragedia di Racine, l'Atalia.


Della Nèmirovsky ho letto anche Due (altro libro che ha colpito nel segno) e sto leggendo Suite francese. Uno stile sempre elegante e sobrio, precisissimo, attento alla psicologia dei personaggi. A volte quasi cinico. E mi sembra una grande conoscitrice dell'animo femminile.

giovedì 8 ottobre 2015

VUOTI A PERDERE


Sere fa mi ha chiamato un mio vecchio insegnante di recitazione per chiedermi se ero disponibile a rilasciare un'intervista in merito a un monologo scritto da lui, che io per prima ho recitato trent'anni fa.
Primo pensiero: quale monologo? Secondo: io?!? Ma davvero? Terzo: di che parlava questo monologo? Al quarto pensiero ho realizzato che non mi ricordavo minimamente di questo episodio. Ma proprio zero. Zero carbonella. Lui si è stupito: «Caspita, il vuoto di memoria dovrebbe essere più un problema della mia età (ottant'anni), ma tu...».

Ecco, io di questi buchi nella memoria ne ho tanti. Dimentico facilmente fatti, persone, cose... Non è cattiveria, mi succede. Di negativo c'è che alle cene coi compagni di liceo sono l'unica che non cita aneddoti divertenti dei professori (perché non se li ricorda proprio). Di positivo c'è che dimentico anche quello che effettivamente è meglio dimenticare.

La mia psicologa ipotizza che si possa trattare di un sistema di rimozione che avrei messo in atto proprio per difendermi da brutti ricordi.

E infatti raramente soffro di nostalgia.
Che astuta volpe che sono!
Certo, poi nel calderone finisce un po' di tutto.
E a questo proposito... che stavo a di'?

giovedì 1 ottobre 2015

QUANDO LA SMETTERÒ DI VESTIRMI DA FATINA?

Forse mai. Non smetterò mai di mascherarmi, di mettere parrucche, costumi, cappelli, boa di struzzo finti. Per fare cosa poi? Niente. J'adore.

Sono sempre stata così, ma se nelle bambine è normale, nelle ventenni è comprensibile, nelle trentenni un po' meno (tranne in contesti di spettacolo, s'intende), nelle quarantenni un vezzo giovanile, dopo i cinquanta comincia a essere un disturbo della personalità. Non dico che ci vado in giro, ma se mi trattengo è solo perché ho avuto un'educazione molto rigida.

Non perdo occasione di fare qualche lettura animata per i bambini solo per il gusto di vestirmi da strega o da fatina. E con la scusa dei bambini mi travesto io. Ho angoli della casa che traboccano di vecchi abiti di scena, costumi di carnevale, mantelli, bacchette magiche e corone. Non è normale.


Il leggendario Marco Pesatori, fine astrologo fuori dal coro e intellettuale dei nostri tempi, mi ha rincuorata: è nel dna delle mie stelle, quindi non ho subito traumi infantili, né ho complessi particolari che mi spingono a farlo. Semplicemente seguo la mia natura di pesci ascendente scorpione, così trasformista e stralunata o, potremmo anche dire, diversamente scema.


Ecco in questo breve video l'ultima performance pubblica conciata da fatina delle nevi, con delle improbabili palline roteanti in testa. E badate che non faccio nemmeno uso di droghe.