Una sola è la strada per la felicità, dice il saggio.
Oddio, forse dovevo svoltare prima.

martedì 9 giugno 2020

Fiorenza detta Fiore



Ho scritto questo racconto per un piccolo concorso abbinato al libro di Manuela Salvi "Covid-19 storie dalla zona rossa" (che vi consiglio di leggere, specie se come me avete passato i mesi del lockdown a stupirvi, a pensare, a osservare i vostri e gli altrui comportamenti). Sono arrivata seconda e quindi questo racconto non è stato inserito nel libro, ma sono contenta di averlo scritto perché rimarrà tra le mie riflessioni produttive su questo strano momento storico. E poi – tanto per non smentirmi – sono riuscita a fare ironia pure su un momento decisamente critico.


FIORENZA DETTA FIORE

Un raggio di luce, oltrepassando la tenda leggera, la colpì sul viso.
Aprì gli occhi e si alzò dal letto.
Come come ogni mattina, prima di fare colazione, srotolò il suo tappetino ed eseguì tutta la sequenza delle posizioni yoga per il saluto al sole, abbinando a ogni postura la giusta respirazione.
Fiorenza detta Fiore tutto sommato se la stava cavando bene. L'isolamento imposto dal governo a causa della pandemia di covid-19 aveva messo in crisi milioni di persone: lavoratori impossibilitati a lavorare, professionisti impossibilitati a esercitare la loro professione, amanti impossibilitati ad amarsi. Tutti a casa, divieto di uscire.

Lei era fortunata. Disponeva di una piccola rendita economica, eredità dei genitori, che le permetteva di vivere dignitosamente senza lavorare. Aveva un piccolo giardino al piano terra nella palazzina in cui abitava, dove coltivava da anni un orto che le regalava un po' di frutta e verdura. Aveva persino una gallina ovaiola di nome Kunda. E soprattutto, aveva la sua pace interiore: vita semplice, meditazione e cibo sano a chilometro zero.
Non sentiva il bisogno di niente e di nessuno. Le amiche l'avevano sempre presa in giro per la gallina e le manie di autoproduzione, ma quello era il momento della sua rivincita. A differenza degli altri, lei era autosufficiente.

«Beata te, non ti serve niente», le disse un giorno sua cugina Teresa al telefono. «Ma come fai per il parrucchiere?».
Chissà che immaginava Teresa! Era chiaro che non la vedeva da anni. Fiore dal parrucchiere non ci andava quasi mai. Tingeva i capelli con l'henné, se ne prendeva cura con impacchi di olio d'oliva e quando era il momento di spuntare, forbici, specchio e zac! Operava da sola. Non era certo il tipo che si faceva notare per i capelli a posto, ma non le importava: una bella fascia colorata in testa e via, anche i capelli bianchi della ricrescita restavano nascosti. Probabilmente l'espediente non avrebbe funzionato se avesse avuto un fidanzato, un compagno, qualcuno. Ma non ce l'aveva, problema risolto.
Quella fu l'ultima telefonata con Teresa. Bloccò il suo numero e, considerando che aveva già bloccato le due uniche amiche e qualche altra persona, finalmente poteva ritenersi libera da tanti potenziali scocciatori.

Saluto al sole, meditazione, musica rilassante. I giorni nelle prime sei settimane passarono velocemente.
Ogni pomeriggio Fiore accendeva la tivù per ascoltare il bollettino della Protezione Civile. I numeri dei contagiati, dei ricoverati, dei morti. Niente di rassicurante.
Dopo un mese circa dall'inizio dell'emergenza, i numeri non accennavano a diminuire, anzi, aumentavano paurosamente. Decise di non sentire più i bollettini.

Per fortuna lei era una persona positiva e ringraziava l'universo per il suo karma e per quel procedere sereno e armonioso. Passava il tempo a curare le piante, a produrre cosmetici fatti in casa, a leggere articoli su varie teorie complottiste: era colpa del 5G, era un virus creato in laboratorio, era una guerra voluta da questo per annientare quello, era una montatura per tenerci tutti sotto controllo. Preferiva credere a certe notizie inventate da chissà chi, piuttosto che alla cruda realtà dei comunicati ufficiali.
Quando sentiva parlare di ricerche per creare un vaccino, scuoteva la testa. “Non mi avranno”, pensava. Chissà che merda volevano iniettarle in corpo.
Decise di non leggere più le notizie in rete per non turbare il suo equilibrio.

A metà maggio cominciarono i problemi. Erano finiti il dentifricio, lo shampoo e il riso. Avrebbe potuto fare la spesa al supermercato vicino casa: bastava indossare una mascherina sul viso e un paio di guanti di lattice e mettersi in fila a distanza di almeno un metro dagli altri.

Si vestì. Indossò la mascherina di tessuto cucita a mano da lei stessa e aprì la porta di casa. Sperava di non incontrare gli altri condomini, quei pensionati che ogni tanto si affacciavano e la salutavano, ma sotto sotto di sicuro la invidiavano. A volte dalla finestra c'era chi le chiedeva: «Signora, come va?» e lei rispondeva un «bene» a mezza bocca, infastidita, perché non c'è niente di peggio dell'invidia altrui.
Ci ripensò e chiuse la porta. Non aveva voglia di uscire e nemmeno di mettersi in fila. Non temeva tanto il virus – che poteva essere, a quanto ne sapeva, tutta una montatura – ma la negatività della gente, che avrebbe potuto intaccare la sua aura.
Cercò informazioni in rete e con il bicarbonato, il limone e la salvia realizzò un dentifricio fai da te. Per lo shampoo se la cavò miscelando farina di ceci e aceto di mele. Non era proprio come uno shampoo vero, ma in quella situazione era sufficiente.
Per il riso nulla da fare, a meno di non convertirsi alla spesa on line. Decise di farne a meno.

A fine giugno le sue scorte alimentari erano quasi al lumicino, ma per fortuna il suo orto le regalò molta verdura e frutta di stagione.
Kunda non aveva problemi di approvvigionamento, mangiava cicoria, trifoglio, timo e qualche lombrico. Malgrado questo, non sembrava molto in forma, la produzione di uova cominciò a calare. “Saranno i vicini. Mi hanno fatto il malocchio”, pensò Fiore, anche se ultimamente non si affacciavano nemmeno più. Forse avevano finalmente capito che lei non aveva voglia di avere a che fare con loro.

A metà luglio cominciò a saltare la corrente elettrica. Prima andava e veniva, poi più niente. Fiore non riuscì più ad accendere la luce, a caricare il telefonino, a usare il computer. Non funzionava nemmeno il frigo. Una situazione decisamente critica: ma lei era in grado di fronteggiare anche questa, grazie alla sua capacità di porsi in armonia con la natura.
Si adattò quindi a una vita più spartana. Andava a dormire col buio e si alzava con la luce.

Dopo il consueto saluto al sole, una mattina trovò Kunda morta, con il corpicino dilaniato, le piume sparse ovunque, come se fosse stata sbranata. Fiore rimase inorridita a guardarla per un po'. Forse un cane di chissà chi, sfuggito al controllo? Ma come era entrato nella sua proprietà? Cercò di controllare il dolore e la rabbia e seppellì la povera gallina accanto al nespolo e vicino alla buca dove sotterrava i pochi rifiuti che produceva.

Passarono i giorni caldi, le giornate cominciarono ad accorciarsi. Ebbe una fastidiosa orticaria, ma curò il prurito con l'aloe del suo giardino. Prima di andare a letto, una sera, si guardò attentamente allo specchio. Appariva invecchiata, imbruttita. I capelli, mezzi grigi e rinsecchiti, erano inguardabili. Aveva bisogno di riso, olio, pasta, farina, proteine, sapone di Marsiglia, crema idratante. E aveva bisogno del dentista per quel mal di denti che la tormentava.

Passò una nottata quasi insonne. Il mattino dopo, eseguì come sempre tutte le posizioni del saluto al sole e dopo una lunga meditazione, si fece coraggio. Raccolse i capelli indeboliti e imbiancati in uno dei suoi coloratissimi foulard a fantasia indiana, indossò i jeans, che ora le stavano larghi, e una maglietta viola. Prese il suo zaino di tela intessuta a mano e si truccò gli occhi con i pochi cosmetici di cui ancora disponeva. Si guardò allo specchio: non era il massimo, ma si sentiva pronta a varcare la soglia. Mise la mascherina sul viso e uscì.
Con sua grande sorpresa, fuori non c'era nessuno. Né gente in fila per la spesa, né polizia. Niente, nessuno. L'erba era cresciuta dappertutto e la strada di periferia sembrava quella di un paesino abbandonato in mezzo alla campagna. Il frinire ossessivo delle cicale era l'unico suono che rompeva un inquietante silenzio, oltre a qualche verso lontano di animali non identificati, tipo giungla. Lo zoo comunale in effetti non era molto lontano da lì.

Svoltò l'angolo, pensando di trovarsi di fronte al solito paesaggio caotico della sua città.
Si fermò. Sulle strade dove una volta sfrecciavano veicoli, c'erano gruppi di cani, volpi e forse qualche iena, che correvano in tutte le direzioni. Nella piazza alla sua destra, un elefante e una giraffa passeggiavano come se niente fosse e alcuni fenicotteri rosa atterrarono nei pressi della fontana centrale. Girò velocemente lo sguardo in tutte le direzioni: la vegetazione sembrava esplodere dalle fessure dei marciapiedi, dentro i negozi vuoti, sui tetti e sulle facciate dei palazzi. Un babbuino si avvicinò, urlando minaccioso, e in pochi secondi Fiorenza detta Fiore fu circondata da decine di altri babbuini dall'aria poco rassicurante.
Il suo cuore cominciò a battere forte di paura.
Guardò in alto. Un magnifico sole splendeva nel cielo, un cielo di un azzurro mai visto. Qualcosa volava sopra di lei disegnando dei grandi cerchi. Sembrava un avvoltoio. Un'allucinazione?
Chiuse gli occhi. E poi li aprì.

(Daniela Cologgi, aprile 2020)





Del racconto ne parlo in questo video su fb e alla fine lo leggo anche tutto (per stomaci forti).


lunedì 8 giugno 2020

Occhiaie


Ho le occhiaie che arrivano a tre metri sotto il cielo.
«Perché ti sei svegliata troppo tardi».

Ho le occhiaie color tortora scuro con venature viola.
«Ti sei svegliata troppo presto».

Le mie occhiaie sono quasi nere.
«Sei stanca».

Ho appena fatto una settimana di ferie in relax.
«Cattiva alimentazione».

Sono vegetariana quasi vegana, sto attentissima a mangiare, bilancio proteine, carboidrati, zuccheri, vitamine, sali minerali...
«Sei disidratata. Bevi acqua?».

Bevo due litri d'acqua al giorno.
«Allora è lo stress».

Faccio massaggi shiatzu e training autogeno.
«Problemi di fegato?»

No, ho fatto di recente tutti i controlli, il fegato sta bene.
«Bevi? Fumi?»

No.
«Quindi sei triste».

No! Faccio tante altre cose.
«Potrebbe essere una dermatite?».

Ti dico di no.
«Allora è un problema di microcircolazione venosa e linfatica rallentata, iperpigmentazione, congestione emodinamica».

Si può fare qualcosa?
«Niente, te le tieni così, ciao».

sabato 28 dicembre 2019

Lo strano caso dei genitori-attori di Palmanova


Qualche tempo fa sono stata contattata attraverso il mio blog da un certo Sandro Ciroi di Palmanova (nella foto qui sopra, il tipo vestito di verde con quattro braccia), che utilizza le mie pubblicazioni teatrali per bambini. Sarà un insegnante, ho pensato, un animatore teatrale, qualcosa del genere. A un certo punto ho capito che gli spettacoli li mette in scena lui. Allora è un attore di una compagnia di teatro per ragazzi, ho pensato, o un giuggiolone. E invece cosa scopro? Ma facciamoglielo raccontare.


Sandro Ciroi, che cosa hai combinato in quel di Palmanova? A noi puoi dirlo.


Cinque anni fa, figlia numero 1 iniziò l’asilo. Alla riunione iniziale le mamme chiedevano: cosa mangiano? Quando mangiano? Perché mangiano? (Chissà perché tutte quelle domande sul cibo…). Dove dormono? Ma dormono? (Ovvio, con tutto quel cibo!). 

Io ho lasciato sfogare tutti poi ho alzato il dito: «Posso? Ma in questa scuola si fanno le recite di carnevale dei genitori?». Silenzio… forse la gente mi ha preso per pazzo. Ma le maestre mi han detto di sì e così, da quella volta, mi sono preso la briga di prendere in mano l’organizzazione di questo tipo di evento, che, premetto, non ho inventato io ma esisteva già!


È stato difficile coinvolgere gli altri genitori? E come l’hanno presa i bambini?



Io sono sempre stato una persona fortunata. E di conseguenza ho sempre avuto uno zoccolo duro di genitori che mi hanno seguito e che, anzi, sono cresciuti nel tempo. Poi sai, lo facciamo per i bambini! E quale motivo può essere più forte per una mamma o un papà?
I bambini ne sono entusiasti. Ci sono genitori che non ne possono più di rivedere il dvd della recita, o di sentire il cd delle canzoni... e per fortuna, dico, che le canzoni sono belle!

La passione per il teatro è spuntata all’improvviso o covava in te già da tempo?


Nulla nasce per caso. Due cose sono successe: il mio ultimo anno di asilo e le scuole medie. All’asilo in quell’anno, nel mio paese natale (fammelo scrivere, Gonars. Gonârs in friulano), i genitori iniziarono a fare le recite di carnevale per noi bambini, per cui sono cresciuto con questa cosa che i genitori devono fare le recite di carnevale per i bimbi: una sorta di imprinting. 

E un paio di anni fa, al mio vecchio asilo, hanno festeggiato i 35 anni di recite dei genitori! Che dire: straordinario.

Alle medie invece una professoressa di italiano illuminata ci ha fatto fare delle esperienze teatrali e lì ho capito che per me non esiste forma d’arte più diretta e adatta alla mia persona. Lo scorso anno ho rintracciato la prof. e l’ho invitata a vedere il tuo “Il brutto anatroccolo”. 
Anzi, il mio... basato sul tuo testo!




Domande scottanti: dove lo trovate il tempo per fare le prove? E chi vi fornisce la droga? (Ah ah, no, la seconda è uno scherzo eh).

Quali prove? Cosa vuoi che ti dica... Una sera a settimana per 2 mesi, 8-10 prove in tutto e passa la paura. Che ci vuole a imparare 6 canzoni da cantare dal vivo e il testo? (Faccina tipo urlo di Munch).
Questo è una specie di miracolo che accade ogni anno: la passione di questi genitori rende possibili cose altrimenti irrealizzabili. 
Ah, sì... quest’anno ho chiamato una vecchia amica per farle preparare un paio di coreografie: per cui i miei ragazzi hanno anche ballato!


Progetti futuri?

Figlio numero 2 ha davanti a sé ancora due anni di asilo. Quindi sicuramente ancora due recite. Poi qualcuno prenderà il mio posto e porterà avanti il discorso, se vorrà. Tutti utili, nessuno indispensabile.
Però ho fatto una promessa alle mie ex attrici (perché non l’ho detto, ma se non hai i bimbi all’asilo puoi essere chi vuoi che non ti faccio recitare nel mio spettacolo) che mi hanno tormentato e mi tormentano per mettere su una vera compagnia: la promessa è quella di fare un ultimo spettacolo, magari in grande, magari chiamando tutti quelli che hanno recitato in questi anni e vogliono cimentarsi di nuovo. E qui, mi sbilancio, mi piacerebbe fare "Betlehem Anno Zero", uno dei tuoi più bei lavori, che ho già fatto da ragazzo sia come attore che come cantante. Vediamo se ce la facciamo.

Last but not least? Un’ultimissima cosa?

Beh certo che sì: ne avrei di cose da dire… ma devo fare qualche ringraziamento.
A tutti quei genitori che si sono fidati e hanno deciso di seguirmi in questo viaggio. In particolare a quelli che mi hanno aiutato nella preparazione del tutto, non solo della parte teatrale ma anche organizzativa, logistica e scenografica, parimenti importante. 
Alla nonna paterna dei miei bambini... che è la sarta che mi accontenta sempre.
Alle persone che mi hanno regalato da ragazzo queste esperienze teatrali, alla scuola che ci sta vicino e ci incoraggia e all’amministrazione comunale che ci regala per un paio di giorni la magia di un teatro vero tutto per noi.
A te che hai questo stile di scrittura che sento molto affine, e che crei questi lavori magici dalle musiche meravigliose. Questo scrivilo, non temere che questo mio pensiero possa sembrare una marchetta spudorata. Chi ti legge su questo blog lo fa proprio per quel che scrivi e capisce molto bene quello che voglio dire.

D'accordo, io glielo lascio dire, ma precisiamo – per ammortizzare la sviolinata – che le musiche non le scrivo io, collaboro sempre con bravissimi musicisti.
Per chiudere: trovo questa di Sandro e dei genitori di Palmanova un'esperienza davvero bella e incredibilmente interessante sotto vari punti di vista. Dico sempre che i bambini molto piccoli non dovrebbero essere sottoposti all'impegno della recita, specie se è una sorta di "obbligo” dettato dai genitori: in certe situazioni diventa uno strazio. Per tutti.
E quindi, suggerimento ai genitori di bambini dell'asilo: prendiamo esempio! Se avete il coraggio, la recita fatela voi!

giovedì 9 maggio 2019

Mi ritorni in mente (mamma)



Ho ritrovato qualche giorno fa questi appunti, che scrissi su un quaderno dopo l'ultima volta che accompagnai mia madre a una visita dal geriatra. Mia madre da poco più di un anno non c'è più e io la ricordo così.



Trovarsi di fronte al geriatra che sta visitando un tuo genitore anziano è come giocare a tresette. Un susseguirsi di occhiate, sguardi, ammiccamenti. Perché l’anziano è tremendo, spesso dice bugie, a volte non ha memoria, mischia, inventa, depista. E allora, tu, figlia, cominci a tessere una trama comunicativa parallela col medico, fatta di mail, telefonate, ammiccamenti, espressioni facciali.

Sono qui davanti a lui e vicino a me c’è mia madre, una pestifera ottantenne ansiogena, arruffata e rimpiccolita come una bambina a scuola, che sta giurando e spergiurando di prendere sempre tutte le medicine. Ma io so che non è vero. Il dottore mi guarda. Io faccio un’espressione come a dire «se, col cavolo che le prende». Mamma si gira verso di me e cerca approvazione, io le sorrido come a dire «certo certo», poi rivolgo di nuovo lo sguardo al medico come a dire: «se, col cavolo: sta mentendo!». Insomma, così. 

Poi lui scorre i referti delle analisi. Tranne un problema di fibrillazione atriale tenuto sotto controllo da anni, sono perfette. Sono molto meglio delle mie.
Ahia. La guardo con la coda dell’occhio. Mamma l’ha presa male, sta scalpitando. Brutto colpo, perché lei aspira al primato di persona più malata del mondo e non credo che accetterà facilmente di perdere lo scettro. 
Ci congediamo molto velocemente: «Arrivederci dottore».
Secondo me non ci vorrà venire più.

sabato 19 maggio 2018

ESPRESSIONI ROMANE USATE IMPROPRIAMENTE DAI NON ROMANI

L’espressione in questione è “sti ca...” (ehm, pudore frutto di un'educazione vecchio stile. Per capire meglio vedere il video in basso).
Qual è il problema? Il problema è che molti non romani la usano in modo sbagliato, sono tutti convinti che significhi un’altra cosa.

Prendo spunto da una nota pubblicità di pavimenti, dove a un certo punto si esclama “Stigatti!” (che è la versione edulcorata della nostra amata espressione), per dire: Accidenti! Accipicchia! Apperò! Super!  Anche molti altri - non romani – la usano con quest’accezione (a occhio e croce soprattutto al nord).

E invece manco per niente. C’è un grande fraintendimento. Per esprimere "Acchipicchia, apperò" noi romani, con la delicatezza verbale che ci contraddistingue, usiamo dire “mej co...” (stesso discorso di prima).

Invece la famosa
“sti ca...” vuol dire: chisseneimporta, mi rimbalza, mi scivola, non mi cale. Voi capite che il significato è completamente un altro. Tra l’altro da noi è usata molto di frequente, anche nelle varianti “ma sti ca...” e "sti grandissimi ca...” ed è considerata una vera e propria filosofia di vita, una forma di distacco dal mondo, un’aspirazione all’ascetismo, diciamo.

Cosa di cui chi vive a Roma ha atavicamente bisogno.

Ecco, spero di aver aperto uno spiraglio verso la corretta comprensione di un modo di dire ormai tanto diffuso. Oh, e se poi qualcuno non interessa, sti ca... 




lunedì 30 ottobre 2017

CHI HA PAURA DELLA FESTA DI HALLOWEEN?

Sarò leggera, sarò svampita, ma io tutta questa polemica contro 'l'invasione' di Halloween non la capisco. Non riesco a capirla.

«Che ci fa una festa straniera qui da noi?» mi suona come l'ossessione in generale per gli stranieri. Mica Halloween è comparso nel nostro Paese clandestinamente, ci sarà stato qualcuno che ha cominciato ad adottarlo perché – bisogna ammetterlo – è molto più divertente del vecchio e sbiadito Carnevale. Vestirsi da strega e da fantasma è obiettivamente meglio che vestirsi da Arlecchino e Pulcinella. E dolcetto o scherzetto se la batte alla grande coi coriandoli. E poi, scusate, ma non eravamo già da un pezzo nell'era globale?


«È solo una festa commerciale», accusano. Ah, beh, sì, perché Natale non lo è? E la festa della mamma (importata dall'estero anche questa, per altro)? Commercialmente Halloween certo che funziona, ha un tema riconoscibile su cui si possono creare gadget, feste, eventi.
 

Quello che mi fa impazzire di più, è sentir dire che dietro ai travestimenti da strega e da vampiro si nascondono davvero le forze del male.
Fatemi capire: quindi se ti travesti da angelo, dentro di te si materializza un cherubino buonissimo e cominci a fare miracoli? Se ti travesti da Arlecchino diventi uno sciocco – però furbo – e non paghi le tasse? E se ti vesti da Pulcinella si materializza dentro di te un mariuolo napoletano? 
Qui non vi seguo. Qui siamo alla superstizione. Mascherarsi è un gioco, punto. Trovo queste argomentazioni indegne di una società evoluta. Ingenue se sincere, paracule se finalizzate a portare tutto sul campo di un integralismo religioso, che forse non ama che si rida e si scherzi sulla paura. Perché... già, è la paura che in fondo ci rende schiavi.
Inoltre, ora che ci penso: da strega, da diavoletto e da vampiro si sono sempre vestiti i bambini anche a Carnevale, senza mai suscitare dibattiti: perché ora è diventato pericoloso?

Esorcizzare demoni e mostri è una pratica antica come il mondo. È ancestrale. È antropologico. Fa parte dei riti e delle feste legate ai cicli della natura, solo che nei secoli le religioni vi hanno sovrapposto le loro ricorrenze. In questo caso, basta andarsi a leggere l'affascinante storia delle origini (irlandesi) di questa festa, che salutava l'inizio del nuovo anno scacciando le paure legate all'inverno e al sonno della terra nella stagione fredda.

Che poi ci sia gente che approfitta di Halloween per delinquere, questo purtroppo fa parte dell'imperfetta natura umana, così ricca di casi di imbecillità: e di questo davvero c'è da avere paura. A me sono gli uomini che spaventano, non i mostri di fantasia. Ci sono gli idioti che ad Halloween bruciano i gatti neri (e io che ho un gatto nero rabbrividisco) e quelli che a Carnevale lanciano arance con le lamette dentro. Come vogliamo definire questa gente? Non diamo la colpa alle feste.

Ah, poi un'altra cosa che mi fa impazzire: "altro che mostri e vampiri, insegniamo ai nostri bambini a onorare i morti". E che problema c'è? Il 31 ottobre dolcetto o scherzetto, il 2 novembre tutti al cimitero.

Leggo molti post anti Halloween che concludono così: «Usa la testa, non la zucca». Io correggerei in questo modo: usa la TUA testa, eventualmente anche la TUA zucca. Del resto 'avere sale in zucca' ha sempre significato 'essere intelligenti'.

Ognuno quindi pensi come vuole e si diverta – o non si diverta – come crede. Lasciando magari liberi gli altri di fare e pensare come vogliono, senza imporre necessariamente le proprie idee. E non mortifichiamo l'ironia: renderebbe il mondo già leggermente migliore.

domenica 24 settembre 2017

SCRIVERE UNO SPETTACOLO PER I BAMBINI. DIECI CONSIGLI PER INIZIARE

Chi fa l'insegnante, l'educatore, l'animatore e lavora quindi con i bambini si sarà trovato, almeno una volta nella vita – ma spesso di più – ad affrontare l'esigenza, o il desiderio, di allestire uno spettacolo, una recita (a Natale per esempio, o a fine anno scolastico). La situazione ottimale è affidarsi a esperti che sappiano guidare i bambini in un percorso teatrale che sia anche formativo. Il teatro è una splendida occasione di crescita e varrebbe proprio la pena sfruttare tutte le sue possibilità. Non sempre però si può disporre di figure esterne specializzate in materia, e quindi non resta che optare per il fai da te. A cominciare dal testo da mettere in scena.

Ecco dieci punti da tenere in considerazione per affrontare la fase della scrittura.

1. Partite da una storia, che abbia un trama riconoscibile, un inizio, uno sviluppo e una fine. Può essere una storia inventata da voi, o già esistente (per esempio potete attingere dalle fiabe o dalle leggende popolari). Una storia ovviamente alla portata dell'età dei vostri bambini.

2. Raccontate la storia ai bambini, osservate le loro reazioni, iniziate a farli partecipare.

3. Chiedete ai bambini di drammatizzare la storia, facendo fare loro i personaggi a rotazione, per vedere che frasi, parole e azioni useranno. E prendete appunti.
 

4. Stesura del copione. Ovviamente il copione non serve per i bambini piccoli, che ancora non leggono: non possono avere dialoghi da imparare a memoria, per loro l'approccio con il teatro sarà diverso, specifico, prevalentemente ludico. Nello scrivere il copione considerate quanti bambini avete e prevedete un numero di personaggi che offra visibilità a tutti. Come? Prendete esempio dai cartoni della Disney: rendete importanti i personaggi che magari in una storia sono minori. Se non ci sono, inventateli. Prendiamo Cappuccetto Rosso: non ha senso far recitare quattro Cappuccetti Rossi e cinque lupi. Fate parlare gli alberi del bosco, i fiori, gli animali. Possono interagire con i protagonisti, fare da narratori, da commentatori. E diventare personaggi molto divertenti e di spicco.
 

5. Non infilate tirate moralistiche e pappardelle didattiche nei dialoghi. Il significato e il messaggio dello spettacolo deve venire fuori dallo spettacolo stesso: altrimenti vuol dire che non è scritto bene.

6. Dovendo prevedere diversi luoghi in cui si svolge la vostra storia, tenete presente, già dalla stesura, che non avrete a disposizione il palco girevole del Sistina, né Dante Ferretti per le scenografie. Se volete una principessa che si affaccia dalla torre in cima alla montagna dovrete essere capaci, in sede di allestimento, di evocarlo con i mezzi che avete. Di solito con una scena neutra e dei praticabili (pedane, piani rialzati ecc.), si può immaginare tutto. È la magia del teatro. Non è però facilissimo pensare una soluzione se non avete l'esperienza sufficiente, quindi semplificate il più possibile i cambi di ambientazione.

7. Vietato mettere nei dialoghi parole tipo “stupido”, “cretino”, eccetera. Mi è capitato di leggere parecchie volte copioni scritti da insegnanti – addirittura da catechisti – con un linguaggio di questo tipo. So bene che nella vita di tutti i giorni si usa e magari fa ridere. Ma no. No, no!

8. Quando finite di scrivere il vostro copione, leggetelo a voce alta. Se ci sono intoppi nelle parole, frasi difficili, lungaggini, espressioni poco naturali, ve ne accorgerete facilmente e potrete fare le dovute correzioni.

9. Prima di iniziare le prove organizzate con i bambini delle letture a tavolino. Questo vi aiuterà a definire le parti da assegnare insieme a loro, testare la scorrevolezza del testo, i ritmi, e la durata. Ricordate che la recita è bella quando dura poco.

10. Se non avete una buona idea per una storia o una preferenza su quella da scegliere, se non avete tempo, o voglia, o pazienza per scrivere un copione fai da te, prendetene uno già scritto. Occhio però, dovrete comunque adattarlo. Buon lavoro!