Ho scritto questo racconto per un piccolo concorso abbinato al libro di Manuela Salvi "Covid-19 storie dalla zona rossa" (che vi consiglio di leggere, specie se come me avete passato i mesi del lockdown a stupirvi, a pensare, a osservare i vostri e gli altrui comportamenti). Sono arrivata seconda e quindi questo racconto non è stato inserito nel libro, ma sono contenta di averlo scritto perché rimarrà tra le mie riflessioni produttive su questo strano momento storico. E poi – tanto per non smentirmi – sono riuscita a fare ironia pure su un momento decisamente critico.
FIORENZA DETTA FIORE
Un raggio di luce, oltrepassando la tenda leggera, la colpì sul viso.
Aprì gli occhi e si alzò dal letto.
Come come ogni mattina, prima di fare colazione, srotolò il suo tappetino ed eseguì tutta la sequenza delle posizioni yoga per il saluto al sole, abbinando a ogni postura la giusta respirazione.
Fiorenza detta Fiore tutto sommato se la stava cavando bene. L'isolamento imposto dal governo a causa della pandemia di covid-19 aveva messo in crisi milioni di persone: lavoratori impossibilitati a lavorare, professionisti impossibilitati a esercitare la loro professione, amanti impossibilitati ad amarsi. Tutti a casa, divieto di uscire.
Lei era fortunata. Disponeva di una piccola rendita economica, eredità dei genitori, che le permetteva di vivere dignitosamente senza lavorare. Aveva un piccolo giardino al piano terra nella palazzina in cui abitava, dove coltivava da anni un orto che le regalava un po' di frutta e verdura. Aveva persino una gallina ovaiola di nome Kunda. E soprattutto, aveva la sua pace interiore: vita semplice, meditazione e cibo sano a chilometro zero.
Non sentiva il bisogno di niente e di nessuno. Le amiche l'avevano sempre presa in giro per la gallina e le manie di autoproduzione, ma quello era il momento della sua rivincita. A differenza degli altri, lei era autosufficiente.
«Beata te, non ti serve niente», le disse un giorno sua cugina Teresa al telefono. «Ma come fai per il parrucchiere?».
Chissà che immaginava Teresa! Era chiaro che non la vedeva da anni. Fiore dal parrucchiere non ci andava quasi mai. Tingeva i capelli con l'henné, se ne prendeva cura con impacchi di olio d'oliva e quando era il momento di spuntare, forbici, specchio e zac! Operava da sola. Non era certo il tipo che si faceva notare per i capelli a posto, ma non le importava: una bella fascia colorata in testa e via, anche i capelli bianchi della ricrescita restavano nascosti. Probabilmente l'espediente non avrebbe funzionato se avesse avuto un fidanzato, un compagno, qualcuno. Ma non ce l'aveva, problema risolto.
Quella fu l'ultima telefonata con Teresa. Bloccò il suo numero e, considerando che aveva già bloccato le due uniche amiche e qualche altra persona, finalmente poteva ritenersi libera da tanti potenziali scocciatori.
Saluto al sole, meditazione, musica rilassante. I giorni nelle prime sei settimane passarono velocemente.
Ogni pomeriggio Fiore accendeva la tivù per ascoltare il bollettino della Protezione Civile. I numeri dei contagiati, dei ricoverati, dei morti. Niente di rassicurante.
Dopo un mese circa dall'inizio dell'emergenza, i numeri non accennavano a diminuire, anzi, aumentavano paurosamente. Decise di non sentire più i bollettini.
Per fortuna lei era una persona positiva e ringraziava l'universo per il suo karma e per quel procedere sereno e armonioso. Passava il tempo a curare le piante, a produrre cosmetici fatti in casa, a leggere articoli su varie teorie complottiste: era colpa del 5G, era un virus creato in laboratorio, era una guerra voluta da questo per annientare quello, era una montatura per tenerci tutti sotto controllo. Preferiva credere a certe notizie inventate da chissà chi, piuttosto che alla cruda realtà dei comunicati ufficiali.
Quando sentiva parlare di ricerche per creare un vaccino, scuoteva la testa. “Non mi avranno”, pensava. Chissà che merda volevano iniettarle in corpo.
Decise di non leggere più le notizie in rete per non turbare il suo equilibrio.
A metà maggio cominciarono i problemi. Erano finiti il dentifricio, lo shampoo e il riso. Avrebbe potuto fare la spesa al supermercato vicino casa: bastava indossare una mascherina sul viso e un paio di guanti di lattice e mettersi in fila a distanza di almeno un metro dagli altri.
Si vestì. Indossò la mascherina di tessuto cucita a mano da lei stessa e aprì la porta di casa. Sperava di non incontrare gli altri condomini, quei pensionati che ogni tanto si affacciavano e la salutavano, ma sotto sotto di sicuro la invidiavano. A volte dalla finestra c'era chi le chiedeva: «Signora, come va?» e lei rispondeva un «bene» a mezza bocca, infastidita, perché non c'è niente di peggio dell'invidia altrui.
Ci ripensò e chiuse la porta. Non aveva voglia di uscire e nemmeno di mettersi in fila. Non temeva tanto il virus – che poteva essere, a quanto ne sapeva, tutta una montatura – ma la negatività della gente, che avrebbe potuto intaccare la sua aura.
Cercò informazioni in rete e con il bicarbonato, il limone e la salvia realizzò un dentifricio fai da te. Per lo shampoo se la cavò miscelando farina di ceci e aceto di mele. Non era proprio come uno shampoo vero, ma in quella situazione era sufficiente.
Per il riso nulla da fare, a meno di non convertirsi alla spesa on line. Decise di farne a meno.
A fine giugno le sue scorte alimentari erano quasi al lumicino, ma per fortuna il suo orto le regalò molta verdura e frutta di stagione.
Kunda non aveva problemi di approvvigionamento, mangiava cicoria, trifoglio, timo e qualche lombrico. Malgrado questo, non sembrava molto in forma, la produzione di uova cominciò a calare. “Saranno i vicini. Mi hanno fatto il malocchio”, pensò Fiore, anche se ultimamente non si affacciavano nemmeno più. Forse avevano finalmente capito che lei non aveva voglia di avere a che fare con loro.
A metà luglio cominciò a saltare la corrente elettrica. Prima andava e veniva, poi più niente. Fiore non riuscì più ad accendere la luce, a caricare il telefonino, a usare il computer. Non funzionava nemmeno il frigo. Una situazione decisamente critica: ma lei era in grado di fronteggiare anche questa, grazie alla sua capacità di porsi in armonia con la natura.
Si adattò quindi a una vita più spartana. Andava a dormire col buio e si alzava con la luce.
Dopo il consueto saluto al sole, una mattina trovò Kunda morta, con il corpicino dilaniato, le piume sparse ovunque, come se fosse stata sbranata. Fiore rimase inorridita a guardarla per un po'. Forse un cane di chissà chi, sfuggito al controllo? Ma come era entrato nella sua proprietà? Cercò di controllare il dolore e la rabbia e seppellì la povera gallina accanto al nespolo e vicino alla buca dove sotterrava i pochi rifiuti che produceva.
Passarono i giorni caldi, le giornate cominciarono ad accorciarsi. Ebbe una fastidiosa orticaria, ma curò il prurito con l'aloe del suo giardino. Prima di andare a letto, una sera, si guardò attentamente allo specchio. Appariva invecchiata, imbruttita. I capelli, mezzi grigi e rinsecchiti, erano inguardabili. Aveva bisogno di riso, olio, pasta, farina, proteine, sapone di Marsiglia, crema idratante. E aveva bisogno del dentista per quel mal di denti che la tormentava.
Passò una nottata quasi insonne. Il mattino dopo, eseguì come sempre tutte le posizioni del saluto al sole e dopo una lunga meditazione, si fece coraggio. Raccolse i capelli indeboliti e imbiancati in uno dei suoi coloratissimi foulard a fantasia indiana, indossò i jeans, che ora le stavano larghi, e una maglietta viola. Prese il suo zaino di tela intessuta a mano e si truccò gli occhi con i pochi cosmetici di cui ancora disponeva. Si guardò allo specchio: non era il massimo, ma si sentiva pronta a varcare la soglia. Mise la mascherina sul viso e uscì.
Con sua grande sorpresa, fuori non c'era nessuno. Né gente in fila per la spesa, né polizia. Niente, nessuno. L'erba era cresciuta dappertutto e la strada di periferia sembrava quella di un paesino abbandonato in mezzo alla campagna. Il frinire ossessivo delle cicale era l'unico suono che rompeva un inquietante silenzio, oltre a qualche verso lontano di animali non identificati, tipo giungla. Lo zoo comunale in effetti non era molto lontano da lì.
Svoltò l'angolo, pensando di trovarsi di fronte al solito paesaggio caotico della sua città.
Si fermò. Sulle strade dove una volta sfrecciavano veicoli, c'erano gruppi di cani, volpi e forse qualche iena, che correvano in tutte le direzioni. Nella piazza alla sua destra, un elefante e una giraffa passeggiavano come se niente fosse e alcuni fenicotteri rosa atterrarono nei pressi della fontana centrale. Girò velocemente lo sguardo in tutte le direzioni: la vegetazione sembrava esplodere dalle fessure dei marciapiedi, dentro i negozi vuoti, sui tetti e sulle facciate dei palazzi. Un babbuino si avvicinò, urlando minaccioso, e in pochi secondi Fiorenza detta Fiore fu circondata da decine di altri babbuini dall'aria poco rassicurante.
Il suo cuore cominciò a battere forte di paura.
Guardò in alto. Un magnifico sole splendeva nel cielo, un cielo di un azzurro mai visto. Qualcosa volava sopra di lei disegnando dei grandi cerchi. Sembrava un avvoltoio. Un'allucinazione?
Chiuse gli occhi. E poi li aprì.
(Daniela Cologgi, aprile 2020)
Del racconto ne parlo in questo video su fb e alla fine lo leggo anche tutto (per stomaci forti).