Natale
è ancora una festa speciale perché è una festa piena di ricordi.
Infatti
i Natali di un bel po' di anni fa me li ricordo ancora piuttosto bene.
Le
feste si passavano tassativamente in famiglia, e in famiglia prima
eravamo sempre in tanti: tanti zii, tanti cugini, e tutti per le
feste stavamo là, nessuno in quelle occasioni aveva impegni più
importanti.
La
famiglia da parte di mia madre è proprio romana romana: nonno Mario
(buonanima) era romano de Roma, con qualche svirgolamento verso
Tivoli e nonna Elena (buonanima) romana di sette generazioni. Quando
mia madre e i miei zii erano piccoli, abitavano a San Lorenzo, e
quindi s'erano beccati il bombardamento nella seconda guerra mondiale
(cosa che veniva rievocata puntualmente). Poi s'erano trasferiti a
Centocelle, a via Tor de Schiavi, e sono rimasti lì in quella casa
fino all'ultimo. Ed è lì che sono stati consumati i nostri pranzi natalizi leggendari.
I
pranzi di nonna Elena non te li puoi scordare. Ti ritornano su pure
in sogno a distanza di decenni. Metteva le spianatore su tutte le
superfici piane di casa e sopra ci lasciava riposare chili e chili di
pasta fatta in casa. Cucinava quantità industriali di fettuccine,
lasagne, cannelloni… Poi abbacchio con le patate e altra roba che
doveva rispettare una specifica condizione per entrare nel menù:
doveva essere grassa. Cucinava un po' sempre le stesse cose... il
baccalà col sugo e lo zibibbo (a Roma l'uvetta si chiama zibibbo), i
carciofi con la mentuccia, i broccoli fritti, i carciofi fritti...
friggeva tutto, pure la ricotta. I fritti erano soprattutto per la
cena della vigilia, per stare leggeri, insieme a due spaghetti con le
vongole (due per modo di dire). Alla fine, insieme alla collezione di
panettoni pandori e torroni, arrivava a tavola anche il castagnaccio,
una specie di pizza dolce marroncina che si mangiava con la ricotta
sopra. Ah, e il giorno dopo, a Santo Stefano, per non sovraccaricare
lo stomaco già tendente al coma epatico: cappelletti in brodo. E
tutto il resto. Ma lasciamo perdere va', che mi si alza il
colesterolo solo se ci ripenso.
Negli
ultimi anni io e mia cugina avevamo cominciato ad avanzare strane
necessità: «Nonna, io sono diventata vegetariana». «A no', io sto
a dieta». «Sète giovani, ma sète fraciche», ci diceva lei. «Ve
faccio un po' de purè coi fagiolini». Il purè di nonna Elena, più
parmigiano e olio che patate, aveva le stessa quantità di calorie di
una torta panna e cioccolata, e pure i fagiolini non scherzavano.
Tutto, nelle mani di nonna, diventava magicamente grasso.
Eravamo
sempre divisi in due tavoli: il tavolo dei grandi e quello dei
bambini. Io e mia cugina Isabella siamo rimaste al tavolo dei bambini
fino a dopo i trent'anni, intanto che ai cugini si aggiungevano i
figli dei cugini.
Dopo
il pranzo di Natale era obbligatoria la tombola. Adesso si chiama
bingo, ma per noi era e rimarrà per sempre tombola. Non mi venite a
dire che la tombola è un gioco divertente. Eppure da bambina io mi
ci divertivo, perché i miei zii conoscevano tutti i numeri della
smorfia. Poi perché qualcuno tra un numero e l'altro qualche cazzata
per ridere la sparava sempre. E poi perché alla fine facevano il
tombolino per i bambini e qualcosa vincevi per forza. Per tanti anni
le cartelle erano state quelle lisce, di cartoncino, e i numeri si
coprivano coi fagioli e si perdeva più tempo a chiedere: Mi ripeti i
numeri? perché i fagioli rotolavano via come niente. Poi a un certo
punto c'è stato un salto tecnologico, l'avvento delle cartelle di
plastica con le finestrelle apri e chiudi.
Dopo
la tombola, i grandi si scatenavano a sette e mezzo e mercante in
fiera. La peggio era sempre mia nonna. Se vincevi, ti faceva le corna
sulle carte e non vincevi più.
Oltre
a mangiare e giocare non c'era sentore di una qualche spiritualità.
Ah, beh, giusto un anno mi ricordo che il nostro Natale ha sfiorato
momenti significativi di cultura musicale. A festeggiare con noi
c'erano anche i genitori austriaci di Roswitha (Roswitha è la moglie
di uno dei miei cugini. Un nome impronunciabile per nonna Elena, una
volta ho sentito che l'ha chiamata Rosbeef, il più delle volte
Rosita, come la figlia di Celentano). Quella volta è andata così: a un certo punto del pomeriggio, Roswitha, sollecitata dai genitori,
tira fuori un mazzetto di spartiti e ce li consegna spiegando che da
loro, in famiglia, è tradizione eseguire insieme i più famosi canti
di Natale. E c'invita a cantare tutti insieme. E mentre noi stiamo
sotto choc ancora coi fogli in mano, loro, madre padre figlia, nei
ruoli rispettivamente di soprano contralto e tenore, cominciano a
intonare Stille nacht in tedesco e rigorosamente a tre voci. Stille
nacht... heilige nacht... Noi
siamo senza parole. Solo un pensiero: tacci vostri, e noi mo' che
famo? Finito il pezzo, applauso e, a seguire, lungo momento
d'imbarazzo. Chi fischia, chi si taglia una fetta di torrone, chi va
al bagno. Ma Frau Christine, la regina madre, non si lascia
ingannare, ci guarda e Roswitha ci dice che ora tocca a noi e ci
intima chiaramente di cantare qualcosa. Roswitha è austriaca,
detesta fare brutta figura. Allora facciamo un rapido consulto,
escludendo subito nonna Elena e nonno Mario che stanno ancora sotto
choc. Allora: qui non c'è nessuno che va in chiesa, manco uno
straccio di Venite fedeli si tira fuori. Io dico: ma scusate, Tu
scendi dalle stelle? Dovrebbero saperla tutti Tu scendi dalle stelle!
Niente, lo sanno poco e male. Infine, per non deludere gli ospiti,
arriva l'unica proposta fattibile. Un classico. Uno due tre, e
attacchiamo: Fatece largo che
passamo noi, sti giovanotti de sta Roma bella...
Roswitha nasconde l'imbarazzo e cerca di tradurre il testo ai
genitori, molto probabilmente con qualche modifica.
Ah,
ma abbiamo avuto anche altri Natali con ospiti internazionali. Per esempio il primo anno con Marghany, un amico sudanese dei miei
cugini.
Non
mi ricordo chi di noi gli chiese: «A Marghany, che mangiate voi nel
vostro paese quando è festa?» E lui: «Nel nostro paese quando si
mangia è festa. Tombola!»
Come
tombola? A Marghany, ma che ce sei venuto dall'Africa a fregà i
sordi a noi?
E
nonna rideva con quella risatina che aveva solo lei.
Chissà
se adesso mi guarda da lassù. Se mi guarda, sicuramente penserà: «A
bella de nonna, ma come fai a magnatte er tofu?»
Lo
so, nonna, c'hai ragione, se c'eri tu me lo facevi diventà 'na bomba
calorica con due semplici mosse. Ma tu non puoi capì, adesso è
tutto diverso. Tu, nonna, fai parte di un'altra storia. La storia dei
Natali di tanti anni fa, di quelle feste molto romane e molto caloriche a casa
tua, che passavamo tutti insieme, tutti stretti intorno al tavolo,
coi fagioli sulla cartella della tombola che rotolavano via. Che
rotolavano via, proprio come gli anni che ci separano dai nostri
ricordi. E ammazza quanti anni sono.
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