Una sola è la strada per la felicità, dice il saggio.
Oddio, forse dovevo svoltare prima.

venerdì 24 febbraio 2017

TAPPATI LE ORECCHIE ZOLTAN

Sono qui da due ore, o forse più, con la cuffia pressata sulle orecchie che mi stanno ribollendo. Sposto tracce e organizzo tracklist per l'ennesima compilation. Ormai si fanno poche nuove registrazioni, si va avanti a compilation, c'è la crisi. Il riciclo intelligente, per darci un tono lo chiamiamo così.
Okay, non divaghiamo.
Sono qui con la cuffia, piazzata davanti al computer. Un po' alienata, forse, perché è un tipo di repertorio che ti spappola i neuroni, ti entra in circolo e ti si ripropone nel cervello quando meno te l'aspetti, tipo la notte quando ti metti a letto.

A un certo punto skype mi avvisa che è partita una chat. Cerco subito di capire chi tra i miei contatti mi sta scrivendo. È un certo Zoltan. Chi? Ma io non conosco questo Zoltan. Qualcuno dei miei contatti s'è cambiato il nome skype?
«Toc toc. Buongiorno, possiamo noi parlare due minuti?».

Ah, ok, capito. È Yoda di Guerre Stellari.
«Con chi ho il piacere di chattare?», scrivo velocemente, con quella punta di acidità femminile che mi viene su quando sento che sto per essere presa in giro.
«Molti anni fa ci siamo noi conosciuti. Tu eri giovane studentessa e io... una memoria ero già. Un sapere tramandato. Un sistema pedagogico musicale».
Alt. Un sistema pedagogico musicale?
«Zoltan come?», chiedo ancora.
«Zoltan Kodàly».
 

Andiamo bene. Sono lucida? Sono stanca? Una volta i musicisti morti ti si manifestavano in sogno. Oppure durante le sedute spiritiche. Adesso comunicano via chat, non c'è più mistero, non c'è più quell'esoterismo inquietante di una volta.
Prendo un minuto per elaborare una risposta all'altezza della mia sagacia e del mio livello culturale: «Ha un numero che possa giocarmi al lotto?».

Mi sa che l'ho spiazzato, non scrive più. Avrà capito la fine ironia? E adesso?
Nulla.
Rimetto la cuffia, pronta a riprendere il mio lavoro di compilatrice di compilation.
«Sembra che tutto tu abbia dimenticato». Dopo cinque minuti mi arriva questa chat, sempre da lui. 

No, non ho dimenticato. Mi ricordo ancora le lezioni sul sistema elaborato da Kodàly per l'educazione musicale dei bambini. Un metodo che non è un metodo per educare semplicemente alla musica, ma con la musica. Induttivo e non deduttivo. Con la musica che parla al cuore e diventa un elemento fondamentale per la formazione globale. Con un repertorio che ha le sue radici nella musica popolare.

«Quando si inizia a insegnare musica ai bambini, a che età, a che età?», continua.
«Nove mesi prima di nascere», rispondo nel tempo di un nanosecondo. Meno male, questa la so!
Insomma, Zoltan Kodàly è venuto a sgridarmi perché sa benissimo che sto compilando compilation che non c'entrano niente con tutto questo. Sta' a vedere che si è rivoltato nella tomba per colpa mia. «La musica popolare non si vende, amico mio. E non mi faccia la predica sul capitalismo e sulla decadenza culturale, la penso come lei».

È palese: mi sento in colpa. Perché è vero che fa parte del mio lavoro occuparmi di musica per bambini per una casa discografica e che devo occuparmi di prodotti che possibilmente vendano. Ma anch'io scrivo cose per bambini e lui forse lo sa. Forse lassù se ne parla.
«Invece di ispirarti ai miei bicinia hungarica ti ispiri ai puffi di Cristina D'Avena».
Lo sa. E lassù si parla anche di Cristina D'Avena.
«Magari – ribatto – sai i soldi che facevo».
«Sì però...» e manda l'emoticon con la faccetta terrorizzata.
«Comunque non m'ispiro affatto a Cristina D'Avena».

Toc toc. Ora non è una chat: qualcuno bussa alla porta del mio ufficio.
«Avanti!».
La porta si apre di scatto. Si apre e compare una donna bassina: Cristina D'Avena.
È tutta strizzata in un top di pelle nero con una gonna svasata di tulle nero e raso. Si siede davanti a me e mi guarda: «Non ho capito perché questo tono da snob. Sai quanti dischi ho venduto io, bella? E sai che ancora mi chiamano ai concerti? E ho un sacco di fan? E tu?».
No, io no, signora Cristina D'Avena, non mi conosce nessuno. Credo forse di avere un certo numero di ammiratrici tra le maestre d'asilo.
«Ah ah ah ah ah» ride sguaiatamente battendo i pugni sulla scrivania.
«Non intendevo sminuirla dicendo che non m'ispiro a lei. È che m'ispiro a una musica più commerciale degli ultimi tempi».
«Tipo?» fa lei con aria di sfida.
«Tipo... tipo... – oh, non mi viene in mente niente – tipo i Righeira». Ma ho buttato una cosa lì, che non c'entra niente.
«Ah ah ah, alla faccia degli ultimi tempi!». Lei continua a sbeffeggiarmi.

Toc toc. Chi è che bussa, adesso? «Avanti!».
È Johnson Righeira. Entra con i suoi occhiali da sole e va subito a sedersi davanti a Cristina D'Avena. Si rivolge direttamente a lei, praticamente ignorandomi.
«Scusa Cris, qual è il problema?».
«Nessun problema John», dice lei continuando a ridere.
Guardo l'orario sul computer.
«Signori miei – dico – è stato veramente un piacere conoscervi, ma tra pochi minuti scatta la mia pausa pranzo e non vorrei rimanere bloccata qui».

Nel frattempo sul display mi compare di nuovo una chat di Zoltan Kodàly: «Se ancora tra voi io mi trovo, in questo mondo senza pace per la mia anima, è perché alla mia domanda nessuno risposto ha, finora: quale musica migliore per i bambini è?».
Dico io, ma è una domanda da fare proprio a ridosso della mia pausa pranzo?

Toc toc. Ancora? Chi è adesso? «Avanti!», grido. La porta si apre lentamente, molto lentamente. Si affaccia un uomo e, che mi venga un colpo: è Franco Battiato. «Buongiorno maestro, qual buon vento? A cosa dobbiamo questa sua gradita visita?» dico, non sapendo cos'altro dire. Lui, silenzio. Abbassa la testa, un po' infastidito. Poi la alza e guarda verso il soffitto: «Perché sei un essere speciale... ed io...». Si ferma.
«Avrò cura di te!» mi affretto ad aggiungere.
«La sapevo anch'io, figurati», fa la Cris. Il maestro gira i tacchi e se ne va, sbattendo la porta dietro di sé.
«Comunque stava parlando per me», riprende Cristina D'Avena.
«Sì, vabè», ribatte Johnson Righeira.

I minuti passano inesorabili e io comincio a perdere la pazienza. Leggo a voce alta la domanda di Zoltan: «Quale musica migliore per i bambini è?» I miei due ospiti inattesi si guardano tra loro. Poi mi guardano. Io guardo il computer, poi Cristina e poi Johnson. Poi guardo tutti e due. E loro mi guardano ancora.
«Secondo me, è la musica che loro amano, quella che a loro piace». Mi è uscita così, non so nemmeno io da quale angolo del cervello sia partita.
Cristina D'Avena dice: «Ok». Poi si alza e se ne va, seguita da Johnson Righeira.
Guardo il computer: «Ok» scrive Zoltan, e la chat si chiude.
È esattamente l'una, in tempo per la mia pausa pranzo.

Ok, fino alle due non ci sono per nessuno.

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